Sempre più spesso mi chiedo se ritroveremo mai quella socialità che il lungo periodo di quarantena e la chiusura di molti ritrovi storici nel nostro quartiere ci ha fatto dimenticare nella consapevolezza che quanto accade nel mondo, che in molti di noi provoca una preoccupazione eccessiva rispetto al pericolo reale che può potenzialmente toccarci, non ci aiuta di certo a ritrovare.
Viene allora da chiedersi come possiamo riuscirci perché, sia ben chiaro, da soli non ce la faremo mai a tornare a parlare di socialità se non saremo in grado di gestirla trovando il giusto equilibrio tra essa, l’individualità e l’opportunismo.
Per questo esistono le associazioni (quelle vere) che hanno l’obbligo morale e civile di creare spazi sicuri e isole felici indipendenti dove ciascuno possa trovare la sua giusta dimensione in sicurezza e conforto attraverso l’informazione condivisa, il confronto, il divertimento, lo sport e soprattutto la cultura. Non luoghi dove celebrare se stessi o il politico di turno in visita di “cortesia” in piena campagna elettorale ma spazi di ascolto ove comunicare e condividere tutto l’anno idee, progetti, gioie, inquietudini e bisogni in modo empatico e sussidiario.
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